Leggenda d'amore

 Taj Mahal, gioiello dell'India

Conosco persone che si esaltano dinnanzi a metropoli megagalattiche, innondate di chiasso e  luci. Personalmente,  non riesco ad apprezzarle fino in fondo. Osservo l'architettura all'avanguardia, gli enormi,  sempre crescenti progressi  tecnologici, ma mi arrivano freddi al cuore. Risultati  accattivanti, sinonimo di modernità,   che non riescono però a trasmettermi vere  emozioni. Quell'incanto che mi prende nella contemplazione  degli immmensi  tesori, che ci ha lasciato quel  passato, che cavalca secoli, per poter giungere a noi.  Che, attraverso la regalità e l'imponenza di incredibili monumenti, ci parla di civiltà sovente estinte e tradizioni.  Di battaglie , di paesi lontani,  di regni fiabeschi.  Di un immenso, sottomesso lavoro da parte di umili, al servizio di re e imperatori, non privi, nei loro confronti, pure di crudeltà. Non manca  neppure di tramandarci commuoventi, struggenti storie d'amore, concretizzate in ammirevoli, straordinarie opere d'arte.

Una di queste è proprio il Taj Mahal. Meraviglioso Mausoleo adagiato sulle rive del Yamuna, fiume che bagna Agra, sita nella parte settentrionale dell'India. Il Taj, ovvero < Palazzo della corona >,  venne dichiarato dall'Unesco nel 2007,  una delle sette ( ora otto )  meraviglie  del mondo, patrimonio dell'umanità.

Fu un tragico evento a dare l'avvio alla sua costruzione.

Shah Jahan ( 1592 -1666 ) il significato del cui nome era < re del mondo >, quinto sovrano dell'impero Mugal,  governò dal 1628 al 1658, offrendo un forte impulso all'architettura dell'epoca. Fondando la  stessa città di Delhi. Di religione musulmana, che contemplava il  diritto alla poligamia, l'imperatore si unì in seconde nozze, nel  1612, alla diciannovenne nobile persiana  Arjumand Banu Begum che assunse, sposandolo, il nome di Mumtaz Mahal.

Donna bellissima, univa all'avvenenza fisica e alla grazia, una profonda umanità, nei confronti dei più deboli ed esiliati  (dallo stesso consorte) e quella devozione che  ben presto, portò l'imperatore  a volerla come favorita. Le fece dono del trono. Muntaz, lo seguiva costantemente  pure nel corso delle sue campagne militari, trasformandosi in preziosa consigliera. Usando sovente quella credibità e fiducia che lui le offriva, per seguitare ad aiutare  i bisognosi. Fu un amore immenso, una grande passione, quella che li legò.

Da lei, Shah Jahan, ebbe ben 14 figli. Solo la metà, però sopravvisse. Fu proprio nel dare alla luce l'ultima, che Muntaz,  il 17 giugno del 1631 morì, lasciando lo sposo disperato. Narra la leggenda, che proprio in punto di morte, la giovane principessa, gli avesse chiesto, quali ultimi desideri,   di erigere un mausoleo in ricordo del loro grande amore. Lì, sarebbe dovuto tornare a trovarla ogni anno, nel  giorno della sua dipartita, per onorarla. Gli fece inoltre promettere, che non si sarebbe mai più risposato.  Shah Jahan, affranto, solennemente promise. Per un intero anno, dopo la morte della moglie,  l'imperatore si chiuse in  totale isolamento.  Quando ricomparve, si presentò distrutto,  precocemente invecchiato, incanutito. Mantenne la promessa fatta all'adorata. Diede ordine che iniziassero i lavori per la costruzione del Taj Mahal. Un'opera che richiese, per essere completata, ben 22 anni,  gran parte del tesoro imperiale, materiale pregiato quali pietre semipreziose e  marmo candido  che lo avrebbe interamente rivestito, reso magico....

Ne uscì, un monumento funerario di inestimabile splendore, in cui  restavano e restano imprigionati  i  caldi colori dell'alba, del sole, degli stessi raggi lunari, rimandati pure in sprazzi di luce, dalle gemme  incastonate. Il poeta indiano Tagore, non mancò di esaltarne la bellezza, definendolo 

    < Una lacrima di marmo poggiata sulla guancia del tempo >

 

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